Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 29 ottobre 2022.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Il cervello delle api mette in fila da sinistra a destra i numeri come il nostro. Premesso che la definizione “brain” imposta dagli entomologi al ganglio cefalico degli insetti è una concessione di intesa in neurobiologia, l’organo nervoso degli insetti equivalente all’encefalo dei mammiferi si è mostrato in grado di compiere un’operazione automatica elementare classica del nostro cervello.

Rosa Rugani del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Padova con colleghi francesi e svizzeri ha rilevato che le api, come noi, organizzano spazialmente i numeri (numerosità riconosciute grazie a un training), disponendoli su una linea da sinistra a destra in ordine di grandezza. Questo prova che la nostra MNL (mental number line) ha origine biologica e non culturale. [PNAS USA 119 (44) e2203584119 – Epub ahead of print doi:10.1073/pnas.2203584119, 2022].

 

Della sindrome di Smith-Magenis associata ad autismo si è compresa l’epilettogenesi. La sindrome è causata dalla perdita di una copia del gene Rai1: le cellule a granulo del giro dentato dell’ippocampo con deficit di Rai1 presentano un’accresciuta eccitabilità e aumentata trasmissione glutammatergica. Ordinariamente RAI1 salvaguarda la rete ippocampale dall’ipereccitabilità e il suo difetto può spiegare l’epilessia nella Smith-Magenis [PNAS USA 119 (43) e2210122119, 2022].

 

Una nuova frontiera nella terapia del Parkinson: Idrogel per la riparazione del danno. Hydrogels caricati di fattori neurotrofici con cellule staminali costituiscono una delle più promettenti terapie in grado di superare l’ostacolo della barriera emato-encefalica. Questo approccio può aumentare il livello di dopamina striatale, proteggendo e promuovendo la differenziazione di cellule staminali. Anche se – noi osserviamo – rimane da risolvere il problema della formazione di sinapsi tra cellule trapiantate e neuroni dell’ospite. [Expert Opin Drug Deliv. 10.1080/17425247.2022.2136161, 2022].

 

Il recettore H3 dell’istamina è un bersaglio per il trattamento di patologie del SNC. Il recettore H3 non è solo un autorecettore, ma controlla anche il rilascio di altri neurotrasmettitori, quali la 5-HT, l’acetilcolina, la dopamina e la noradrenalina. Vari antagonisti del recettore H3 sono stati sperimentati per il trattamento della narcolessia, dei deficit cognitivi associati alla malattia di Alzheimer, alla malattia di Parkinson, alla schizofrenia e al deficit di attenzione con iperattività (ADHD). Una proprietà sorprendente dei recettori H3 è il loro alto grado di attività costitutiva in vivo. Questa scoperta si è rivelata importante per lo sviluppo di farmaci, in quanto la capacità di competere con gli stati costitutivamente attivi dei recettori H3 (agonismo inverso) ha importanti implicazioni terapeutiche.

In questo modo Ludovica R. Poggi ha introdotto una sintetica rassegna sui farmaci del sistema nervoso centrale agenti sul recettore H3, all’incontro dello scorso mercoledì con i soci della nostra società scientifica. Alla fine della lezione, la Poggi ha ricordato che i farmaci agenti sul sistema istaminergico sono considerati da molti farmacologi sperimentali anche promettenti candidati per il trattamento di epilessia, obesità e malattie neurodegenerative. [BM&L-Italia, ottobre 2022].

 

Anassimandro e l’infinito: risposta a una domanda sul nostro saggio di settembre. Ecco la domanda: Ho letto ora il vostro saggio (Note e Notizie 17-09-22 Dalle idee antiche al concetto di infinito in matematica) che ho molto apprezzato; tuttavia, mi ha sorpreso non trovare menzione di Anassimandro e del suo pensiero sull’infinito, ossia l’apeiron: «Da dove le cose hanno la loro nascita, qui esse hanno anche la loro distruzione secondo necessità: pagano infatti le une e le altre il fio e la vendetta per l’ingiustizia, secondo l’ordine del tempo». Anassimandro è all’origine del pensiero occidentale.

Risposta degli autori: Rispondiamo con piacere su Anassimandro, filosofo che conosciamo e che non avremmo avuto difficoltà a menzionare se, invece di adottare una chiave di lettura basata sull’estrazione di un paradigma che riporta ad una sola matrice concettuale il pensiero greco sull’infinito, avessimo scelto di occuparci del pensiero dei singoli filosofi su questa materia, e se, soprattutto, lo avessimo ritenuto pertinente all’argomento. Proviamo a chiarire bene la questione anche per gli altri lettori delle “Notule”.

Giorgio Colli definisce Anassimandro un sapiente degno di venerazione, anche se “terribile”, e Franco Rella in Figure del male aggiunge: “Un uomo che fa rabbrividire”, del quale ci è giunto solo un frammento – quello debitamente riportato dal nostro lettore – insieme con un pugno di scarne testimonianze, alcune delle quali affermano che alla base del pensiero di Anassimandro ci sia l’infinito, o apeiron, quale luogo da cui traggono origine le cose[1]. Ma il punto è proprio questo: apeiron non vuol dire “infinito” in senso proprio. La questione è bene affrontata da Kirk, Raven e Schofield e chiarita in The Presocratic Philosophers a Critical History with a Selection of Text, un’opera ormai classica: apeiron – si legge – non significa infinito in senso spaziale o geometrico, ma indica piuttosto “ciò che è senza confine, limite, definizione”[2]. Dunque, rientra nel problema dell’indefinito da noi affrontato al §3.

Per ciò che concerne i contenuti del celebre frammento, sul quale tanto si è scritto, si tratta di una tematica interessante ma del tutto differente dall’argomento del nostro saggio. [Patrizio Perrella & Giuseppe Perrella].

 

L’uso della “scrittura magica” per millenni in tutte le culture evidenzia il suo potere psicologico suggestivo ed evocativo. La scrittura magica consiste in un testo breve in forma di invocazione, enunciato o formula ermetica, che si ritiene in grado di produrre effetti materiali immediati o a distanza di spazio e tempo. Anche se i linguisti hanno ricondotto la maggioranza dei testi magici di tutte le culture ad uno schema generale comune, l’aspetto è sempre molto particolare e spesso affascinante per una serie di motivi, primo fra tutti la scelta dei materiali e della forma.

Sui supporti degli scritti magici antichi abbiamo notizia da Plinio (NH, XIII, 74), che riferisce dell’uso in Grecia dai tempi più remoti di un papiro di qualità speciale detto in greco hieratikòn kollema e da lui reso in latino con charta hieratica, riservato agli argomenti religiosi e magico-sacrali. Non meno esclusivi erano gli inchiostri: preparati in genere col sangue e la cenere di sostanze particolari, sono spesso di colore rosso per l’aggiunta di materie coloranti in grado di conferire una tinta rutilante, che distingue queste parole da quelle vergate con l’ordinario nerofumo. Si ritiene che i custodi di queste tradizioni tramandate per secoli abbiano veicolato fino ai maghi del Medio Evo alcuni criteri simbolici greci per il supporto e il richiamo alla scrittura col sangue. I brevi medievali erano infatti scritti con sangue di pipistrello su pergamena “vergine”, ossia ricavata dalla pelle di un agnello nato morto, come si legge in una famosa novella del Decamerone di Giovanni Boccaccio (X, v), in cui Bruno chiede a Calandrino il necessario per il suo artificio magico: “Adunque – disse Bruno – fa che tu mi rechi un poco di carta non nata e un vispistrello vivo e tre granella d’incenso e una candela benedetta, e lascia fare a me”.

Su un antichissimo papiro magico greco si legge: “Proteggimi da ogni demone maligno e da ogni uomo o donna maligna”. E sono numerosissimi i documenti che attestano la sintesi estrema quale tratto caratteristico degli scritti magici. D’altra parte, le due formule magiche che hanno resistito per millenni divenendo comuni in tutto il mondo moderno, cioè abracadabra e hocus pocus, costituiscono la sintesi per eccellenza.

Un modello interessante sono i testi magici di esorcismo, in cui il potere è affidato a una formula di invocazione, come vuole l’area semantica della parola greca eksorkismos, che allude all’atto dell’invocare: si invoca una potenza sovrumana, quale una divinità, una schiera di dei o di geni, oppure figure mitiche o leggendarie ritenute potenti, come le nuore di Noè. In proposito, è interessante l’eredità trasversale alle culture religiose: si invocano in alcuni esorcismi magici i Sette dormienti di Efeso, protagonisti di una leggenda cristiana che poi verrà inclusa nel Corano e diffusa nel mondo ellenistico.

Il contenuto di invocazione o evocazione del potere magico che si chiama ad agire è presentato attraverso caratteristiche squisitamente grafiche o di rappresentazione dello scritto, che sfruttano il potere suggestivo della forma: il testo presenta spesso un aspetto volutamente chiuso, circolare, senza uscite, oppure può consistere in una formula ripetuta graficamente più volte in modo da suggerire un’eco senza fine, o presentarsi come un testo palindromo, ossia un enunciato che si può leggere tanto da sinistra verso destra quanto da destra verso sinistra[3]. Esemplari di questa circolarità chiusa sono i quadrati magici. La traccia più antica del più noto fu trovata negli scavi archeologici di Pompei[4], distrutta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., e dunque risalente almeno al primo secolo dell’era cristiana: SATOR/AREPO/TENET/OPERA/ROTAS, scritta in verticale a comporre un quadrato, è in realtà un palindromo tetrafronte perché, disposte a quadrato le parole, la frase può leggersi in quattro direzioni.

La frase è di senso cristiano (“Sator”, il seminatore o facitore inteso come Dio Creatore, tiene stretti o uniti le opere e i cieli) e contiene anagrammate le parole “Pater Noster”; è stata originariamente concepita in questo latino leggermente adattato (arepo) e, solo in seguito, tradotta in copto, perdendo la sua peculiarità: areto/tenet/otera/rotas/auter; così come nell’antica traduzione in lingua etiopica: sador/alador/danat/adera/rodas.

Il potere insito nei “quadrati magici” era da molti attribuito al valore numerico: in altri termini, sostituendo alle lettere dell’alfabeto greco i numeri corrispondenti si creavano nei quadrati degli effetti sorprendenti e fortemente suggestivi di un potere di senso insito nei segni e non sotto il dominio dell’intelligenza umana[5]. Allora si è provato ad attribuire alle lettere il valore di senso corrispondente al loro ordine alfabetico (A = 1, B = 2, ecc.) e si è scoperto che, per avere attraverso la somma dei valori numerici un simbolismo cristiano della Trinità e dell’Unità divine, è necessario applicare un criterio alla greca e non alla latina. Tale osservazione ha indotto a ipotizzare l’appartenenza del quadrato alla tradizione gnostica e neoplatonica, quale quella sviluppata nell’ambiente alessandrino, che si vuole abbia dato origine a versioni adattate della Qabbalah o Kabbalah o Cabala ebraica, poi assunte dalla tradizione islamica.

Nell’Islam, il trattato sulla magia di al-Buni insegna a costruire quadrati magici, detti jadwal, e costituiti talvolta da numeri, ma più spesso da lettere dell’alfabeto nel loro valore numerico o abjad.

Giuseppe Perrella ha sostenuto che il linguaggio si sia evoluto nella sua forma comunicativa a partire da antecedenti vocali e gestuali con fine prevalentemente evocativo di stati mentali. Probabilmente proprio questo potere evocativo, suggestivo, psicologico, più che logico-razionale, riemerge nell’uso magico dei simboli grafici della scrittura. La convinzione che le lingue verbali e la scrittura avessero origine soprannaturale, consentiva di immaginare che nascondessero in sé una potenzialità magica, che l’uomo avrebbe potuto slatentizzare grazie ad artifici ingegnosi.

Non si può però escludere che gli scribi dei testi magici non sempre aderissero a questa concezione superstiziosa che attribuiva a forme e formule linguistiche il potere di agire sulla realtà materiale, e in molti casi confidassero sugli effetti di influenza sulla mente dei semplici suscitati da un insieme di forma e contenuti apparentemente estranei al consueto, al conosciuto, all’ordinario.

L’esoterismo delle lettere nella scrittura magica è un altro interessante capitolo di questo argomento, che si potrebbe approfondire in chiave psico-antropologica. Una verbo-grafica misteriosa può indurre un atteggiamento mentale che favorisce l’adozione di un registro mistico, esoterico, trascendente o irrazionale. In Vietnam i testi magici sono spesso scritti in cinese. Nei primi secoli dell’era cristiana sono frequenti intarsi con elementi grafici ebraici o copti in un contesto greco, o greci in testi latini o ebraici; si hanno poi esempi di translitterazione in un alfabeto poco noto ai destinatari del messaggio. In un incantesimo della località irachena di Warka (Uruk) la lingua è aramaica, ma i caratteri sono cuneiformi. E, infine, è interessante notare che la prima adozione della scrittura greca per rendere testi egiziani, originariamente in pittografia geroglifica, si è avuta nei testi magici.

Lo studio della scrittura magica può aiutare a comprendere, oltre ad alcuni aspetti della psicologia dei soggetti storici, le caratteristiche di alcune bias irrazionali latenti della nostra mente, oggi evocate in modo diverso. [BM&L-Italia, ottobre 2022].

 

Può attribuirsi a Dedalo e ai suoi avi l’origine dell’intelligenza di Socrate? Platone ci racconta che Socrate dichiarava di essere discendente di Dedalo che, a sua volta, discendeva dal re Eretteo per mezzo di un uomo detto Eupalamo, ossia “dalla mano intelligente”, o Mezione, ovvero “l’intelligente”. La tradizione greca più antica considerava Dedalo un genio universale, che pare abbia preceduto di un paio di migliaia d’anni Leonardo da Vinci: ancora giovane divenne il miglior pittore e il più abile scultore di Atene, realizzando opere ineguagliabili per realismo, poi fu ideatore di strumenti e arnesi artigianali, costruttore di congegni, macchine e automi animali.

Il re di Creta Minosse lo volle alla sua corte come inventore e gli commissionò molti lavori che stupirono i contemporanei. L’invenzione più curiosa e apparentemente stravagante fu una vacca artificiale che, sebbene lignea, era stata compiuta rendendo tutti i caratteri del bovino naturale. In realtà, stravagante era la regina Pasifae che gliela aveva commissionata: la richiesta era di costruire una mucca dall’aspetto attraente, all’interno della quale la sovrana potesse giacere nuda e ottenere le attenzioni di un toro bianco donato al marito e di cui era follemente innamorata. I racconti tramandati narrano di un’opera così perfettamente somigliante all’erbivoro reale che il toro volle possederla appena la vide, così accoppiandosi ignaro con la regina Pasifae. La sovrana fu ingravidata da quel rapporto e, dopo una lunga e laboriosa gestazione, diede alla luce il Minotauro, creatura per metà uomo e per metà toro.

Minosse, che aveva perdonato la consorte perché sapeva che era vittima di una maledizione di Afrodite, aborriva la raccapricciante creatura chimerica che costituiva la prova del tradimento di sua moglie con un toro ma, allo stesso tempo, non osava sopprimerla temendo il castigo della dea. Decise allora di nascondere il Minotauro, così da poterne negare l’esistenza. A questo fine commissionò a Dedalo la costruzione a Cnosso di un labirinto con un solo ingresso e così complesso che, chiunque vi fosse entrato, non sarebbe stato più in grado di uscirne. L’impresa fu compiuta e, nel mezzo dell’inaccessibile labirinto, fu posto il Minotauro.

Quando giunse Teseo a Creta per uccidere l’essere mostruoso, che secondo alcuni si cibava di carne umana e in particolare di quella dei giovani inviati da Atene sconfitta in guerra da Minosse, Dedalo consegnò ad Arianna – la figlia del re innamorata del giovane ateniese – il gomitolo di un filo resistente al taglio e al fuoco, dotato di un’estremità in grado di ancorarsi saldamente allo stipite dell’unica porta del labirinto, e perciò capace di fungere da guida per compiere il percorso a ritroso e uscire da quella trappola.

Minosse, saputo dell’aiuto che Teseo e Arianna avevano ricevuto da Dedalo, rinchiuse il geniale inventore nel labirinto col figlio Icaro, nato dalla relazione con una schiava del re e diventato collaboratore di suo padre. Gli studi sul volo consentirono a Dedalo di realizzare con miriadi di piume di uccello tenute insieme da cera due coppie di ali, con le quali padre e figlio volarono via dal labirinto.

A Dedalo viene attribuita l’invenzione della navigazione a vela, della colla, della maggior parte degli attrezzi dei carpentieri e dei costruttori (asce, seghe, trivelle, ecc.), la costruzione del bacino di riserva idrica sul fiume Alabone, dei bagni a vapore di Selino, della fortezza di Agrigento, della terrazza del tempio di Afrodite a Erice e del tempio di Apollo a Cuma, decorato con pitture illustranti storie della sua biografia.

Rivendicando Dedalo tra i suoi antenati, Socrate pone la questione dell’ereditarietà dell’intelligenza, ripresa nel XIX secolo da Sir Francis Galton sulla base di una banale deduzione: io sono intelligente come mio cugino Charles Darwin (il padre dell’evoluzionismo), come suo padre e mio zio, Robert Darwin, e come nostro nonno, Erasmus Darwin. L’intelligenza è una qualità di sintesi di numerose proprietà cerebrali molecolari, cellulari (neuroni, glia) e di sistema, che si esprimono in un’attività di reti nutrita dall’apprendimento e sviluppata grazie al costante esercizio cognitivo; pertanto, il prerequisito dell’integrità e dell’efficienza neurobiologica garantito geneticamente, sebbene sia importante, non è assolutamente sufficiente. D’altra parte, come hanno dimostrato decenni di riabilitazione cognitiva, un difettoso patrimonio neurobiologico può essere compensato da un esercizio mirato – in base a valutazioni analitiche dei singoli domini dell’intelletto – metodicamente costante e di impegno crescente.

Attualmente, un campo di ricerca molto stimolante è quello che indaga l’epigenetica dell’intelligenza, ovvero le modificazioni dell’espressione genica indotte dall’esercizio o da altri parametri ambientali che migliorano le prestazioni cognitive.

In conclusione, una buona eredità neurobiologica costituisce un indubbio vantaggio, ma il genio richiede la precoce assunzione di un atteggiamento mentale che porta ad esercitare e migliorare costantemente numerosi processi, dall’inferenza cognitiva che accresce la “capacità di porsi un problema”, alle dimensioni della working memory per le successioni logico-deduttive e le sequenze di passi nelle astrazioni creative. [BM&L-Italia, ottobre 2022].

 

Notule

BM&L-29 ottobre 2022

www.brainmindlife.org

 

 

 

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La Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.

 

 

 



[1] Franco Rella, Figure del male, p. 19, Feltrinelli, Milano 2002.

[2] Kirk, Raven, Schofield, The Presocratic Philosophers - a Critical History with a Selection of Text, citato e tradotto in Franco Rella, op. cit., idem.

[3] L’esempio più noto di palindromo (palindromo bifronte) non magico in latino è in girum imus nocte et consumimur igni.

[4] Il quadrato magico completo del “Sator”, detto anche latercolo pompeiano, fu rinvenuto su una colonna della Palestra Grande di Pompei, durante gli scavi del 1936; in precedenza, negli scavi del 1925, era già stato rinvenuto il quadrato su una colonna della casa di Paquio Proculo, ma era incompleto, per uno stato di conservazione non ottimale. Del tutto diverse sono altre formule pompeiane considerate appartenenti alla categoria della scrittura magica o, diremmo, di valore suggestivo, come: Quisquis ama valia, peria qui nosci amare / bis tanti peria, quisquis amare vota.

[5] Si tenga conto che gli antichi consideravano il linguaggio e la scrittura dei doni divini e non delle abilità umane.